Fascino della memoria e modi non corretti di studiarla
LORENZO L. BORGIA
NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 25 aprile 2020.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia).
Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società,
la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste
e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Ho più
ricordi di quanti ne avrei se avessi mille anni.
[Baudelaire, Spleen]
Ho il dono,
spesso doloroso, di avere una
memoria che
il tempo non altera mai…
[A. de Vigny, Servitude
et grandeur militaire]
Il fascino della memoria in ogni sua forma, dai reperti archeologici al
cinema d’epoca, dalla prodigiosa capacità di ricordare ai meccanismi molecolari,
è parte integrante della sensibilità culturale e del desiderio di conoscenza di
ciascuno, probabilmente perché in una sia pur remota sede della coscienza
esiste la consapevolezza che nella memoria si costituisce l’identità[1]. Si comprende che la seduzione di
questo fascino abbia indotto studiosi di ogni epoca a indagare i molteplici
aspetti del valore della conservazione delle tracce dell’esperienza passata, e
si comprende come la rivoluzione conoscitiva introdotta dalla scoperta delle
basi neurobiologiche della memoria abbia accresciuto il numero degli studi
multidisciplinari, in gran parte finalizzati a scongiurare il rischio di operazioni
riduzionistiche che avrebbero gettato alle ortiche un enorme patrimonio di
conoscenza umanistica accumulato in oltre due millenni di storia.
Si comprende meno la superficialità acritica con la quale si siano
sostenute e sponsorizzate come attività di alta cultura operazioni di raccolta
poco discriminata di spigolature, citazioni, brani e concetti tratti da
filosofi, psicologi, medici e neuroscienziati del passato, in un calderone
infarcito di errori spesso grossolani dovuti all’ignoranza di coloro che hanno compilato
la raccolta. Il riferimento principale è a un saggio del 2000 adottato, a venti
anni di distanza, in corsi post-universitari sulla memoria: Il Senso
della Memoria di Jean-Yves Tadié e Marc Tadié[2], rispettivamente professore di
letteratura francese alla Sorbona e professore di neurochirurgia. I due autori,
ottimi interpreti della propria professione[3], si sono rivelati dei dilettanti
incauti nell’improvvisarsi esperti di una materia della quale – spiace dirlo – mostrano
una conoscenza molto vaga.
Per fare sfoggio di erudizione fin dall’introduzione, i due Tadié caratterizzano la memoria delle fasi della vita con questi
riferimenti: l’uomo viene al mondo come un bambino freudiano, cresce come un
giovane bergsoniano, ritrova come Baudelaire il passato in un profumo, diviene
poi proustiano e infine invecchierà come Chateaubriand che non trovava più
conforto nei suoi ricordi. E, subito dopo, dichiarano i loro intenti: “Questo
libro è dedicato quindi alla vita, alla natura e alla storia fisica e mentale
del ricordo”[4].
La confusione, se non altro, è dichiarata fin dall’esordio: il fondatore
della psicoanalisi, un filosofo fenomenologo, un poeta, un grande scrittore e,
infine, un politico e letterato, nessuno dei quali è stato specificamente uno
studioso della memoria, presentati come riferimenti paradigmatici e messi
insieme in un gioco in cui il materiale tratto da questi autori è assemblato in
una specie di bizzarro collage, secondo una sorta di “gusto artistico
soggettivo” degli autori. In che modo questo procedere possa creare una “storia
fisica e mentale del ricordo” è difficile da comprendere.
Rifiutandosi di studiare anche solo nell’introduzione metodologica le discipline
psicologiche e neuroscientifiche che da decenni hanno sviluppato vasti ambiti
di conoscenza concettuale sulle varie forme della memoria, e ostinandosi a
considerare tutto il materiale consultato e riprodotto come frutto di una creazione
letteraria o di una speculazione fondata su principi elementari e spesso
superati, i due Tadié finiscono per fare sintesi
personali e spesso lontane dalla realtà, come quella che riportiamo qui di
seguito:
“In che modo è possibile osservare la memoria? Gli studi sperimentali sul
genere animale (sic!) ne analizzano alcuni meccanismi, tra cui una forma
elementare che consiste nell’adattamento del comportamento all’ambiente. […] La
psicologia comportamentale[5], la vita quotidiana e le malattie
permettono di studiare la memoria umana. […] La terza via, che è quella più
vicina alla realtà, è quella di ricercatori come Freud, Bergson o Edelman che,
avendo analizzato i comportamenti umani e i disturbi che presentavano i malati,
ne hanno dedotto un sistema completo”[6].
L’ultima affermazione, quella della terza via, lascia sconcertati:
sicuramente non si addice a Bergson che, filosofo e letterato insignito del Premio
Nobel per la letteratura, non era medico e non aveva studiato pazienti amnesici[7]; ma nemmeno a Edelman, che era
biologo molecolare e, quando ha deciso di passare allo studio delle
neuroscienze, ha sviluppato una teoria darwiniana dello sviluppo e del
funzionamento del sistema nervoso, prendendo le mosse da molecole quali le SAM
e le CAM – alcune scoperte da lui – e da tre processi che gli consentivano di dare
soluzione a problemi fondamentali delle neuroscienze dell’epoca[8]. Edelman, che non è stato uno
studioso della memoria, era solito dire: la memoria è una caratteristica di
sistema, ossia ciascun sistema, dalla molecola di DNA alle reti neuroniche
alla base del pensiero astratto, ha il suo tipo di memoria. Era ben lontano dal
concepire costruzioni interpretative sulla dimensione psicologica dell’esperienza
umana della memoria, come i filosofi fenomenologi francesi.
Freud, unico dei tre che era medico e “aveva studiato i disturbi che
presentavano i malati” non lo aveva fatto mai con l’interesse primario per la
memoria. Avrebbe potuto, se avesse voluto, ma le ragioni che lo hanno spinto a
seguire le lezioni di Charcot lo condussero alla
scoperta della dimensione inconscia della psiche, responsabile del meccanismo
psicologico della dimenticanza di qualcosa di insopportabile per la coscienza,
attraverso la rimozione. Ma tutto questo non ha a che fare con la memoria comunemente
intesa nelle sue versioni episodica e semantica, se non in maniera molto
indiretta, come lo stesso Freud spiegava.
[Fine prima parte - Continua]
L’autore della
nota ringrazia
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla
lettura delle recensioni di studi di
argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare
il motore interno nella pagina “CERCA”).
Lorenzo L.
Borgia
BM&L-25 aprile 2020
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La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International
Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Questo concetto è stato espresso
ed esposto analiticamente dal presidente della nostra società scientifica in numerose
occasioni di studio della memoria; sollecitato da casi clinici di pazienti
psichiatrici e neurologici esaminati già durante la sua formazione, ha
lungamente indagato il rapporto fra i presupposti impliciti di identità presenti
nelle memorie e lo psichismo attuale.
[2] Jean-Yves Tadié e Marc Tadié,
Il Senso della Memoria. Dedalo, Bari 2000. (Il volume è stato pubblicato
con il contributo dei Ministeri della Cultura e degli Affari Esteri francesi).
[3] In particolare, Jean-Yves Tadié è
considerato uno dei massimi esperti di Proust, al quale ha dedicato una
ponderosa biografia e numerosi saggi, oltre ad aver curato un’apprezzata
edizione de La ricerca del tempo perduto.
[4] Jean-Yves Tadié e Marc Tadié,
Il Senso della Memoria, p. 7, Dedalo, Bari 2000.
[5] Al massimo: la psicologia
cognitiva. Lo studio scientifico della memoria umana nasce in seno alla
neurologia, che specializza la branca della neuropsicologia che studiava i
disturbi della memoria da lesione cerebrale, accanto alle afasie e alle
aprassie; dalla neuropsicologia sperimentale sono nate le moderne neuroscienze
cognitive.
[6] Jean-Yves Tadié e Marc Tadié,
op. cit., pp. 10-11.
[7] Si era limitato a leggere, per
il suo libro Materia e Memoria, molti studi sull’argomento.
[8] I tre processi sono la selezione
durante lo sviluppo, la selezione guidata dall’esperienza e il rientro
fra aree diverse del cervello.